ROB (Senza Numero)
2008-10-13 19:48:17 UTC
di Marco Perisse su IL MANIFESTO
Poveri tradizionalisti nipponici, il sumo non è più sacro come una volta.
Non era infatti uno sport finchè conservava la sua aura di nobile
superiorità che gli assicuravano le radici affondate nel mito che risale ai
tempi dell'imperatore Suinin, contemporaneo di Augusto. Non era un'arte
marziale vera e propria, ma la sola forma di combattimento genuinamente
nipponica. Oggi non è più nemmeno combattuto dai soli giapponesi. E questo è
un grande smacco, vieppiù in momenti in cui il Nikkei precipita in un pozzo
senza fondo trascinato dalla crisi del capitalismo di carta e il recinto del
doyho è invaso da lottatori mongoli e slavi. A scatenare il cataclisma
nell'empireo del sumo fu il mongolo Asashoryu, ragazzotto grosso sì, ma non
obeso come i primi stranieri-fenomeni-da baraccone che lo avevano preceduto.
Piuttosto un atleta di rango capace di muovere il suo quintale e 40 kili con
gesti veloci, aggressivi e sapienti mutuati dal kuresh mongolo, che resta il
padre di tutte le forme di lotta dell'Asia centrale. Un lottatore vero.
Nel 2005 è yokozuna: campionissimo dei tornei del circuito giapponese.
Poderoso e imbattibile sulla pedana del doyho, quanto irriverente e
irrispettoso dell'etichetta: un vero barbaro agli occhi dei puristi. Due
anni dopo, il giornale scandalistico Shukan Gendai lo accusa di aver
comprato alcuni incontri del torneo di Nagoya 2006. È una tegola sulla testa
di Asashoryu, il cui vero nome è Dolgorsuren Dagvadorj: perde il passo
consueto e deve cedere il titolo di supercampione ad Akuo. Il fatto è che
anche Akuo è uno straniero e lo smacco per il Giappone è doppio con due
yokozuna entrambi mongoli. Il giornale prosegue la sua campagna insistendo
nelle accuse di match fixing centrate sul ruolo di un lottatore di ranking
inferiore, Kyokutenzan, anch'egli mongolo, col quale nel 2003 Asashoryu si
era azzuffato fuori dal cerchio in una ben poco sportiva rissa da
energumeni. A forza di puntargli il dito addosso Asashoryu è finito sul
banco degli imputati per illecito sportivo. Per difendere l'onore e la
reputazione del sumo, Asashoryu con altri 33 rikishi (lottatori) della Japan
Sumo Association è passato al contrattacco controdenunciando per
diffamazione la testata che li accusa e chiedendo un risarcimento pari a
qualcosa come 5,5 milioni di euro. Il processo è in corso in questi giorni
in un tribunale distrettuale di Tokyo.
Lo stesso copione si è ripetuto nei confronti del bulgaro Kaloyan Mahlyanov
Stapanov, in arte Kotooshu, incoronato yokozuna nel maggio scorso, il primo
europeo di sempre a fregiarsi del titolo di campionissimo: anche lui è stato
delato per illecito sportivo. Ad accusarlo apertamente è Soslan Gagloev,
sumotori russo di seconda fascia salito sulla ribalta delle cronache in
agosto perchè espulso dal circuito assieme ad altri due colleghi russi per
consumo di marijuana. Kotooshu nega le accuse di corruzione sportiva
rivoltegli da Gagloev. Ma nel sumo del Sol Levante gli scandali sembrano
essere all'ordine del giorno. Mentre da un lato accusa il bulgaro,
dall'altro Gagloev ha presentato ricorso contro la squalifica per droga
ricreativa: e anche questo è un inedito. Coincidenza vuole che tutti i
protagonisti di questi disonorevoli fatti extrasportivi siano stranieri. Più
difficile è invece immaginare quale contraccolpo psicologico rappresenti per
i conservatori giapponesi la loro egemonia nello sport più nipponico di
tutti. Ma quanto allo «sport degli imperatori» nessuno può negare che i
protagonisti dei tradizionali tornei bimestrali siano gli stranieri. Del
resto sono stati gli stessi promoter giapponesi ad andarli a cercare nei
paesi di origine perché le vocazioni nazionali languivano proprio mentre
cresceva il flusso di denaro legato alla professionalizzazione. Lo aveva già
detto Asashoryu col suo gusto per la provocazione e scarso hinkaku, il senso
di dignità eterea e grazia che si voleva un tempo associato ai sumotori: «Il
sumo è duro e i lottatori giapponesi non sono più così bravi perché il
benessere li ha indeboliti».
Ma vi è un altro lato della medaglia: la presenza degli stranieri nel
circuito nipponico e la trasformazione in disciplina sportiva hanno spinto
il sumo fuori dai confini dell'arcipelago rendendolo popolare in tutto il
mondo; specie laddove, assieme alla tradizione della lotta, fioriscono anche
fisici extralarge come in Russia, Polonia e paesi baltici. Oggi nessuno si
sogna di mettere all'ingrasso i lottatori con una dieta ipercalorica: il
sumo è uno sport fatto di diete razionali, atleti tonici e dinamici,
suddivisione in categorie di peso. E ai campionati mondiali di Rakvere in
programma oggi e domani in Estonia, vi sarà anche una squadra italiana al
seguito di Michelangelo Scuderi: la Fijlkam ha inviato sotto la guida del
tecnico Giovanni Parutta una squadra composta da Paola Boz, Martina Palermo
Cerrone, Fausto Gobbi, Andrea Epiro e Alessio Palermo con due arbitri
internazionali, Cristiano Valuppi e Francesco Palumbo.
Poveri tradizionalisti nipponici, il sumo non è più sacro come una volta.
Non era infatti uno sport finchè conservava la sua aura di nobile
superiorità che gli assicuravano le radici affondate nel mito che risale ai
tempi dell'imperatore Suinin, contemporaneo di Augusto. Non era un'arte
marziale vera e propria, ma la sola forma di combattimento genuinamente
nipponica. Oggi non è più nemmeno combattuto dai soli giapponesi. E questo è
un grande smacco, vieppiù in momenti in cui il Nikkei precipita in un pozzo
senza fondo trascinato dalla crisi del capitalismo di carta e il recinto del
doyho è invaso da lottatori mongoli e slavi. A scatenare il cataclisma
nell'empireo del sumo fu il mongolo Asashoryu, ragazzotto grosso sì, ma non
obeso come i primi stranieri-fenomeni-da baraccone che lo avevano preceduto.
Piuttosto un atleta di rango capace di muovere il suo quintale e 40 kili con
gesti veloci, aggressivi e sapienti mutuati dal kuresh mongolo, che resta il
padre di tutte le forme di lotta dell'Asia centrale. Un lottatore vero.
Nel 2005 è yokozuna: campionissimo dei tornei del circuito giapponese.
Poderoso e imbattibile sulla pedana del doyho, quanto irriverente e
irrispettoso dell'etichetta: un vero barbaro agli occhi dei puristi. Due
anni dopo, il giornale scandalistico Shukan Gendai lo accusa di aver
comprato alcuni incontri del torneo di Nagoya 2006. È una tegola sulla testa
di Asashoryu, il cui vero nome è Dolgorsuren Dagvadorj: perde il passo
consueto e deve cedere il titolo di supercampione ad Akuo. Il fatto è che
anche Akuo è uno straniero e lo smacco per il Giappone è doppio con due
yokozuna entrambi mongoli. Il giornale prosegue la sua campagna insistendo
nelle accuse di match fixing centrate sul ruolo di un lottatore di ranking
inferiore, Kyokutenzan, anch'egli mongolo, col quale nel 2003 Asashoryu si
era azzuffato fuori dal cerchio in una ben poco sportiva rissa da
energumeni. A forza di puntargli il dito addosso Asashoryu è finito sul
banco degli imputati per illecito sportivo. Per difendere l'onore e la
reputazione del sumo, Asashoryu con altri 33 rikishi (lottatori) della Japan
Sumo Association è passato al contrattacco controdenunciando per
diffamazione la testata che li accusa e chiedendo un risarcimento pari a
qualcosa come 5,5 milioni di euro. Il processo è in corso in questi giorni
in un tribunale distrettuale di Tokyo.
Lo stesso copione si è ripetuto nei confronti del bulgaro Kaloyan Mahlyanov
Stapanov, in arte Kotooshu, incoronato yokozuna nel maggio scorso, il primo
europeo di sempre a fregiarsi del titolo di campionissimo: anche lui è stato
delato per illecito sportivo. Ad accusarlo apertamente è Soslan Gagloev,
sumotori russo di seconda fascia salito sulla ribalta delle cronache in
agosto perchè espulso dal circuito assieme ad altri due colleghi russi per
consumo di marijuana. Kotooshu nega le accuse di corruzione sportiva
rivoltegli da Gagloev. Ma nel sumo del Sol Levante gli scandali sembrano
essere all'ordine del giorno. Mentre da un lato accusa il bulgaro,
dall'altro Gagloev ha presentato ricorso contro la squalifica per droga
ricreativa: e anche questo è un inedito. Coincidenza vuole che tutti i
protagonisti di questi disonorevoli fatti extrasportivi siano stranieri. Più
difficile è invece immaginare quale contraccolpo psicologico rappresenti per
i conservatori giapponesi la loro egemonia nello sport più nipponico di
tutti. Ma quanto allo «sport degli imperatori» nessuno può negare che i
protagonisti dei tradizionali tornei bimestrali siano gli stranieri. Del
resto sono stati gli stessi promoter giapponesi ad andarli a cercare nei
paesi di origine perché le vocazioni nazionali languivano proprio mentre
cresceva il flusso di denaro legato alla professionalizzazione. Lo aveva già
detto Asashoryu col suo gusto per la provocazione e scarso hinkaku, il senso
di dignità eterea e grazia che si voleva un tempo associato ai sumotori: «Il
sumo è duro e i lottatori giapponesi non sono più così bravi perché il
benessere li ha indeboliti».
Ma vi è un altro lato della medaglia: la presenza degli stranieri nel
circuito nipponico e la trasformazione in disciplina sportiva hanno spinto
il sumo fuori dai confini dell'arcipelago rendendolo popolare in tutto il
mondo; specie laddove, assieme alla tradizione della lotta, fioriscono anche
fisici extralarge come in Russia, Polonia e paesi baltici. Oggi nessuno si
sogna di mettere all'ingrasso i lottatori con una dieta ipercalorica: il
sumo è uno sport fatto di diete razionali, atleti tonici e dinamici,
suddivisione in categorie di peso. E ai campionati mondiali di Rakvere in
programma oggi e domani in Estonia, vi sarà anche una squadra italiana al
seguito di Michelangelo Scuderi: la Fijlkam ha inviato sotto la guida del
tecnico Giovanni Parutta una squadra composta da Paola Boz, Martina Palermo
Cerrone, Fausto Gobbi, Andrea Epiro e Alessio Palermo con due arbitri
internazionali, Cristiano Valuppi e Francesco Palumbo.