miki cap
2011-03-19 13:44:16 UTC
Da subito dopo il sisma e lo tsunami che hanno devastato il Giappone,
sui mezzi di comunicazione hanno trovato spazio, negli interstizi
della drammatica cronaca, politici e soliti esperti che affermano come
i giapponesi, che hanno dato prova in passato di coesione sociale e
capacità di ricostruire: edifici e struttura sociale, ottimismo e
voglia di andare avanti, dopo ognuna delle tragedie che l'hanno
colpito nella sua travagliata storia, anche questa volta ce la
faranno.
Le doti del popolo giapponese sono ormai ben note ai più. E quanta
stupida retorica si è sprecata sulla "dignità" del popolo giapponese
da chi pensa di capire cosa c'è dentro la testa e il cuore di quelle
persone che vede riflesse attraverso il filtro della TV, a 8000
chilometri di distanza, comodamente seduto al caldo sulla poltrona del
proprio salotto. Come se la loro muta e placida rassegnazione al
disastro fosse priva di paura, dolore, rabbia, rancore. Come se una
pecora attaccata da un lupo non belasse per eroico coraggio e sprezzo
del pericolo.
Quello che agli esperti e commentatori tuttologhi sfugge è tuttavia
che anche il Giappone, come tutti i paesi e i loro abitanti, in questi
decenni è cambiato. E sono cambiati anche gli assetti geopolitici del
globo in cui il Giappone si inserisce.
Il Giappone e i giapponesi del marzo 2011 sono diversi sia da quelli
della ricostruzione post II Guerra Mondiale, sia da quelli del boom
economico, sia da quelli del dopo terremoto di Kobe.
Il giapponesi del dopo guerra e del boom erano la generazione
cresciuta nella rigida scuola e società del Giappone imperialista, in
cui oltre ai deprecabili principi totalitaristi, si insegnava anche
spirito di sacrificio estremo, onore, spirito di abnegazione, tenacia.
Tutti elementi che servirono a far risollevare un paese completamente
raso al suolo, fisicamente e moralmente. Quei principi che avevano
spinto milioni di soldati giapponesi a lanciarsi a testa bassa in una
guerra suicida, venivano ora convogliati nell'estremo sforzo della
ricostruzione e del lavoro ad oltranza.
Il Giappone del conseguente boom economico era un Giappone giovane,
figlio del baby boom, dinamico e affamato di beni di consumo dopo gli
stenti della guerra.
E questo assetto sociale si dimostrò ancora pienamente funzionante
anche dopo il terremoto di Kobe. La gente di Osaka, con le strade
impraticabili, andava a piedi fino a Kobe a portare aiuto ai
terremotati affrontando una camminata di mezza giornata, andata e
ritorno trasportando beni di prima necessità.
Sono passati alcuni anni e varie crisi economiche, e oggi il Giappone
è un luogo molto diverso.
E' innanzi tutto un paese vecchio, con sempre meno giovani e sempre
più anziani, secondo solo all'italia come denatalità. E' un paese che
ha ora il più grosso debito economico del mondo, senza quelle sostanze
che hanno permesso gli investimenti del passato. La disoccupazione ha
morso duro, dopo decenni in cui era virtualmente a 0. I giovani vedono
di fronte a se' un futuro incerto, fatto di precarietà, e sono figli
di una società mutata, in cui gli ideali del passato si sono
affievoliti assieme alla capacità di impegno e di sacrificarsi senza
che per questo si sviluppasse una maggiore capacità di iniziativa
personale e di arte di arrangiarsi. Dietro l'angolo vi è il pericolo
che il resto della popolazione, già provata dalla crisi economica,
incominci ad abbandonarsi all'egoismo, pensando prima a se' stessi,
alla propria posizione precaria, preoccupandosi, certo, per i
terremotati, ma incapace di quello slancio che è sembrato
caratterizzare altri disastri del passato.
La gente delle zone devastate vede la lentezza dei soccorsi, e per
quanto non si lamenti apertamente, percepisce lo sfaldarsi di quella
coesione sociale che sembrava un elemento così unico della società
giapponese. Le balle sul nucleare, coperte per anni da aziende
elettriche e governo, sono letteralmente esplose, in faccia ai
giapponesi e al mondo, e la fiducia della popolazione nella gerarchia
sociale soffirà sicuramente nel post terremoto-tsunami-disastro
atomico. La politica giapponese degli ultimi anni si è andata sempre
più indebolendo, e quello di Naoto Kan è uno dei più deboli governi
della storia giapponese.
Gli Stati Uniti non sono più quelli di una volta, e bisogna vedere
quanto saranno in grado di sostenere il Giappone nella ricostruzione.
E adesso soprattutto c'è la Cina, potente più che mai e priva di
scrupoli, che, al di là della posizione di facciata, certo vede nel
disastro accaduto agli odiati giapponesi, un'opportunità di liberarsi
di una spina nel piede, ribilanciando l'equilibrio geopolitico e il
peso americano nell'estremo oriente.
Certo le potenzialità per una ripresa, per quanto difficoltosa, ci
sono, ma non è più così sicuro che anche questa volta i giapponesi
sapranno farvi ricorso.
sui mezzi di comunicazione hanno trovato spazio, negli interstizi
della drammatica cronaca, politici e soliti esperti che affermano come
i giapponesi, che hanno dato prova in passato di coesione sociale e
capacità di ricostruire: edifici e struttura sociale, ottimismo e
voglia di andare avanti, dopo ognuna delle tragedie che l'hanno
colpito nella sua travagliata storia, anche questa volta ce la
faranno.
Le doti del popolo giapponese sono ormai ben note ai più. E quanta
stupida retorica si è sprecata sulla "dignità" del popolo giapponese
da chi pensa di capire cosa c'è dentro la testa e il cuore di quelle
persone che vede riflesse attraverso il filtro della TV, a 8000
chilometri di distanza, comodamente seduto al caldo sulla poltrona del
proprio salotto. Come se la loro muta e placida rassegnazione al
disastro fosse priva di paura, dolore, rabbia, rancore. Come se una
pecora attaccata da un lupo non belasse per eroico coraggio e sprezzo
del pericolo.
Quello che agli esperti e commentatori tuttologhi sfugge è tuttavia
che anche il Giappone, come tutti i paesi e i loro abitanti, in questi
decenni è cambiato. E sono cambiati anche gli assetti geopolitici del
globo in cui il Giappone si inserisce.
Il Giappone e i giapponesi del marzo 2011 sono diversi sia da quelli
della ricostruzione post II Guerra Mondiale, sia da quelli del boom
economico, sia da quelli del dopo terremoto di Kobe.
Il giapponesi del dopo guerra e del boom erano la generazione
cresciuta nella rigida scuola e società del Giappone imperialista, in
cui oltre ai deprecabili principi totalitaristi, si insegnava anche
spirito di sacrificio estremo, onore, spirito di abnegazione, tenacia.
Tutti elementi che servirono a far risollevare un paese completamente
raso al suolo, fisicamente e moralmente. Quei principi che avevano
spinto milioni di soldati giapponesi a lanciarsi a testa bassa in una
guerra suicida, venivano ora convogliati nell'estremo sforzo della
ricostruzione e del lavoro ad oltranza.
Il Giappone del conseguente boom economico era un Giappone giovane,
figlio del baby boom, dinamico e affamato di beni di consumo dopo gli
stenti della guerra.
E questo assetto sociale si dimostrò ancora pienamente funzionante
anche dopo il terremoto di Kobe. La gente di Osaka, con le strade
impraticabili, andava a piedi fino a Kobe a portare aiuto ai
terremotati affrontando una camminata di mezza giornata, andata e
ritorno trasportando beni di prima necessità.
Sono passati alcuni anni e varie crisi economiche, e oggi il Giappone
è un luogo molto diverso.
E' innanzi tutto un paese vecchio, con sempre meno giovani e sempre
più anziani, secondo solo all'italia come denatalità. E' un paese che
ha ora il più grosso debito economico del mondo, senza quelle sostanze
che hanno permesso gli investimenti del passato. La disoccupazione ha
morso duro, dopo decenni in cui era virtualmente a 0. I giovani vedono
di fronte a se' un futuro incerto, fatto di precarietà, e sono figli
di una società mutata, in cui gli ideali del passato si sono
affievoliti assieme alla capacità di impegno e di sacrificarsi senza
che per questo si sviluppasse una maggiore capacità di iniziativa
personale e di arte di arrangiarsi. Dietro l'angolo vi è il pericolo
che il resto della popolazione, già provata dalla crisi economica,
incominci ad abbandonarsi all'egoismo, pensando prima a se' stessi,
alla propria posizione precaria, preoccupandosi, certo, per i
terremotati, ma incapace di quello slancio che è sembrato
caratterizzare altri disastri del passato.
La gente delle zone devastate vede la lentezza dei soccorsi, e per
quanto non si lamenti apertamente, percepisce lo sfaldarsi di quella
coesione sociale che sembrava un elemento così unico della società
giapponese. Le balle sul nucleare, coperte per anni da aziende
elettriche e governo, sono letteralmente esplose, in faccia ai
giapponesi e al mondo, e la fiducia della popolazione nella gerarchia
sociale soffirà sicuramente nel post terremoto-tsunami-disastro
atomico. La politica giapponese degli ultimi anni si è andata sempre
più indebolendo, e quello di Naoto Kan è uno dei più deboli governi
della storia giapponese.
Gli Stati Uniti non sono più quelli di una volta, e bisogna vedere
quanto saranno in grado di sostenere il Giappone nella ricostruzione.
E adesso soprattutto c'è la Cina, potente più che mai e priva di
scrupoli, che, al di là della posizione di facciata, certo vede nel
disastro accaduto agli odiati giapponesi, un'opportunità di liberarsi
di una spina nel piede, ribilanciando l'equilibrio geopolitico e il
peso americano nell'estremo oriente.
Certo le potenzialità per una ripresa, per quanto difficoltosa, ci
sono, ma non è più così sicuro che anche questa volta i giapponesi
sapranno farvi ricorso.