DPR
2008-01-10 06:35:12 UTC
Un terzo dei lavoratori giapponesi è precario. Salari bassi e consumi al
lumicino frenano la crescita della seconda potenza mondiale. Parola del
«Wall Street Journal»
di Sara Farolfi su IL MANIFESTO
Uno spettro minaccia la stabilità dell'economia giapponese. Si chiama
«lavoro precario» e a dirlo è un'insospettabile analisi del Wall Street
Journal (Wsj), pubblicata due giorni fa.
La seconda potenza economica mondiale, da cinque anni in espansione dopo
oltre un decennio di declino, non riesce a crescere più dell'1,5% all'anno.
La dipendenza dalle esportazioni contribuisce oggi - con lo spettro di una
recessione americana legata alla crisi dei mutui subprime - a rendere il
Giappone ancora più vulnerabile.
Ma, soprattutto, è la domanda interna che langue: i consumi sono così deboli
in Giappone che valgono solo poco più della metà dell'economia. Un nulla,
paragonati ad esempio al 70% degli Stati Uniti. E la tendenza, dicono gli
analisti, sembra destinata ad accentuarsi, trainata da quella che il Wsj
definisce una vera «sbornia» per il lavoro a termine, che rischia così di
imprimere un marchio durevole sull'economia del paese.
Più di un terzo della forza lavoro giapponese oggi è precaria, tra contratti
part time, a tempo determinato e lavoratori «forniti» alle aziende just in
time dalle agenzie interinali.
Un primato, in termini quantitativi, se si confrontano i numeri giapponesi
con quelli di tutti gli altri paesi sviluppati. E una tendenza relativamente
giovane, che risale alla fine degli anni '90, quando il tabù del lavoro
temporaneo, fino al '99 lecito solo in pochi settori produttivi, è
definitivamente stato rimosso. L'ultima barriera è caduta nel 2004, quando è
stato permesso anche all'industria manifatturiera (Toyota e Canon, per
citare due colossi) di utilizzare lavoratori forniti dalle agenzie
interinali. Le serie storiche lo dimostrano: dal 1984 al 2007 la percentuale
di lavoratori «a termine» è salita dal 15% della forza lavoro complessiva al
34%.
Il trend, dice il Wsj, è stato per un verso un balsamo per l'economia
giapponese (le imprese hanno visto i loro profitti crescere progressivamente
negli ultimi cinque anni), ma dall'altra parte ha creato un ostacolo al
«circolo virtuoso» tipico delle economie in espansione: profitti maggiori
generano salari più alti che, incrementando i consumi, tornano a generare
una crescita dei profitti.
Ciò che invece è successo in Giappone (e non solo) è che l'abnorme utilizzo
di forza lavoro precaria ha contribuito al ristagno, quando non alla caduta,
dei salari anche per i lavoratori stabili. La caduta dei consumi delle
famiglie dunque è effetto conseguente. Così oggi i media giapponesi
traboccano di storie di working poors, proliferano le agenzie temporanee, il
numero di richieste di sussidi pubblici cresce, e compaiono persino nuove
tipologie di «senza casa», come le giovani famiglie che dormono negli
Internet cafè.
I precari sono naturalmente soprattutto giovani: il 26% dei giovani tra i 25
e i 34 anni sono assunti con contratti a termine (mentre una decina di anni
fa erano il 14%). Il passaggio poi da un impiego temporaneo ad uno stabile
risulta quantomai difficile. In un sondaggio del 2006, due terzi delle
aziende interpellate, si sono dette riluttanti alla trasformazione dei
part-time in full-time. Perché? «Deficit di formazione», hanno risposto i
datori di lavoro, come se questo potesse essere addebitato alle
responsabilità dei lavoratori stessi.
Ma alle aziende la deregulation non basta mai, e ora vorrebbero abolire la
legge che prevede che un contratto a tempo determinato, dopo tre anni, debba
essere trasformato in uno a tempo indeterminato.
Nonostante, spiega il Wsj, questa venga già con estrema semplicità
raggirata, con banali ritocchi alla formula contrattuale stessa, poco prima
dello scadere dei tre anni.
Alla Canon (e nelle sue affiliate) il numero dei contratti part time e a
tempo determinato è quasi quadruplicato (a 40 mila unità) dal 2003 al giugno
scorso. Alla Toyota, che si candida a diventare il primo produttore mondiale
di auto e che l'anno scorso ha pagato dividendi record, oggi lavorano con
contratti precari 110 mila persone, secondo i dati resi noti dal sindacato
(la Federation of all Toyota workers unions) di cui sono membri 290 mila
lavoratori stabili. Lo stipendio lordo di un lavoratore precario si aggira,
alla Toyota, sui 21 mila dollari all'anno. Poco più di 13 mila euro, in un
paese dove la vita costa almeno il doppio che da noi.
lumicino frenano la crescita della seconda potenza mondiale. Parola del
«Wall Street Journal»
di Sara Farolfi su IL MANIFESTO
Uno spettro minaccia la stabilità dell'economia giapponese. Si chiama
«lavoro precario» e a dirlo è un'insospettabile analisi del Wall Street
Journal (Wsj), pubblicata due giorni fa.
La seconda potenza economica mondiale, da cinque anni in espansione dopo
oltre un decennio di declino, non riesce a crescere più dell'1,5% all'anno.
La dipendenza dalle esportazioni contribuisce oggi - con lo spettro di una
recessione americana legata alla crisi dei mutui subprime - a rendere il
Giappone ancora più vulnerabile.
Ma, soprattutto, è la domanda interna che langue: i consumi sono così deboli
in Giappone che valgono solo poco più della metà dell'economia. Un nulla,
paragonati ad esempio al 70% degli Stati Uniti. E la tendenza, dicono gli
analisti, sembra destinata ad accentuarsi, trainata da quella che il Wsj
definisce una vera «sbornia» per il lavoro a termine, che rischia così di
imprimere un marchio durevole sull'economia del paese.
Più di un terzo della forza lavoro giapponese oggi è precaria, tra contratti
part time, a tempo determinato e lavoratori «forniti» alle aziende just in
time dalle agenzie interinali.
Un primato, in termini quantitativi, se si confrontano i numeri giapponesi
con quelli di tutti gli altri paesi sviluppati. E una tendenza relativamente
giovane, che risale alla fine degli anni '90, quando il tabù del lavoro
temporaneo, fino al '99 lecito solo in pochi settori produttivi, è
definitivamente stato rimosso. L'ultima barriera è caduta nel 2004, quando è
stato permesso anche all'industria manifatturiera (Toyota e Canon, per
citare due colossi) di utilizzare lavoratori forniti dalle agenzie
interinali. Le serie storiche lo dimostrano: dal 1984 al 2007 la percentuale
di lavoratori «a termine» è salita dal 15% della forza lavoro complessiva al
34%.
Il trend, dice il Wsj, è stato per un verso un balsamo per l'economia
giapponese (le imprese hanno visto i loro profitti crescere progressivamente
negli ultimi cinque anni), ma dall'altra parte ha creato un ostacolo al
«circolo virtuoso» tipico delle economie in espansione: profitti maggiori
generano salari più alti che, incrementando i consumi, tornano a generare
una crescita dei profitti.
Ciò che invece è successo in Giappone (e non solo) è che l'abnorme utilizzo
di forza lavoro precaria ha contribuito al ristagno, quando non alla caduta,
dei salari anche per i lavoratori stabili. La caduta dei consumi delle
famiglie dunque è effetto conseguente. Così oggi i media giapponesi
traboccano di storie di working poors, proliferano le agenzie temporanee, il
numero di richieste di sussidi pubblici cresce, e compaiono persino nuove
tipologie di «senza casa», come le giovani famiglie che dormono negli
Internet cafè.
I precari sono naturalmente soprattutto giovani: il 26% dei giovani tra i 25
e i 34 anni sono assunti con contratti a termine (mentre una decina di anni
fa erano il 14%). Il passaggio poi da un impiego temporaneo ad uno stabile
risulta quantomai difficile. In un sondaggio del 2006, due terzi delle
aziende interpellate, si sono dette riluttanti alla trasformazione dei
part-time in full-time. Perché? «Deficit di formazione», hanno risposto i
datori di lavoro, come se questo potesse essere addebitato alle
responsabilità dei lavoratori stessi.
Ma alle aziende la deregulation non basta mai, e ora vorrebbero abolire la
legge che prevede che un contratto a tempo determinato, dopo tre anni, debba
essere trasformato in uno a tempo indeterminato.
Nonostante, spiega il Wsj, questa venga già con estrema semplicità
raggirata, con banali ritocchi alla formula contrattuale stessa, poco prima
dello scadere dei tre anni.
Alla Canon (e nelle sue affiliate) il numero dei contratti part time e a
tempo determinato è quasi quadruplicato (a 40 mila unità) dal 2003 al giugno
scorso. Alla Toyota, che si candida a diventare il primo produttore mondiale
di auto e che l'anno scorso ha pagato dividendi record, oggi lavorano con
contratti precari 110 mila persone, secondo i dati resi noti dal sindacato
(la Federation of all Toyota workers unions) di cui sono membri 290 mila
lavoratori stabili. Lo stipendio lordo di un lavoratore precario si aggira,
alla Toyota, sui 21 mila dollari all'anno. Poco più di 13 mila euro, in un
paese dove la vita costa almeno il doppio che da noi.