Rob (Senza Numero)
2009-04-11 06:24:21 UTC
Di Pio d'Emilia su IL MANIFESTO del 7/4/2009
A stracciarsi le vesti, per il lancio nord-coreano, un gesto sicuramente
provocatorio ma, salvo prova contraria, giuridicamente ineccepibile (e su
questo sono d'accordo tutti, tranne il Giappone), alla fine sono solo i
giapponesi. Gli stessi che, anziché approfittare della loro immeritata
costituzione - uno dei pochi doni sensati degli Stati uniti -, da un po' di
tempo hanno riscoperto la voglia di menar le mani.
Hanno cominciato con l'Iraq, poi con l'Afghanistan (anche se ufficialmente
si occupano solo di rifornire le navi della Santa alleanza) e ora sono
appena partiti contro i pirati della Somalia. Prove tecniche di aggressione.
Perché l'obiettivo non può che essere lo stesso perseguito, a prezzo di
enormi sacrifici, a suo tempo: dare una lezione alla Cina, passando dalla
Corea.
Curioso che il Giappone voglia punire, ferire, uccidere i suoi genitori,
anziche educare i propri figli.
Perché checchè raccontino le «cronache divine», le leggende che i poveri
giapponesi continuano a dover studiare come storia nelle loro
scuole-caserme, dove debbono sorbirsi l'alzabandiera e l'inno nazionale,
tutto quello di cui il Giappone si vanta, dalla scrittura alle arti
marziali, dal pensiero filosofico a quello religioso proviene dalla Cina, ed
è arrivato nell'arcipelago grazie alla generosità, curiosità e coraggio dei
coreani. Ma invece di essere grato ai vicini, l'Impero li ha sempre trattati
con sussiego, se non disprezzo. E se ai militari che occupavano la Cina
veniva concesso di passare il tempo a stuprare le donne, infilzare i bambini
e mozzare le teste dei prigionieri, in Corea i giapponesi avevano
addirittura imposto la loro lingua, umiliando la cultura che aveva loro
insegnato a scrivere.
Il governo giapponese continua a chiedere la solidarietà del mondo per la
questione dei suo cittadini rapiti e sequestrati negli anni '70. Una vicenda
drammatica per le famiglie che l'hanno vissuta in prima persona, ma che non
può essere paragonata alle migliaia di donne stuprate e deportate, ai
prigionieri di guerra ridotti in schiavitù, all'umiliazione che ancora oggi
centinaia di migliaia di cittadini coreani residenti in Giappone sono
costretti a subire, finendo per cambiare nome per nascondere le loro
origini.
I dirigenti giapponesi, gli stessi che hanno supinamente sopportato sino ad
oggi una sovranità limitata, rinunciando ad una politica estera autonoma,
sono probabilmente i primi ad essersi accorti di aver perso ogni speranza di
ritagliarsi un ruolo internazionale che vada aldilà dei voti di volta in
volta «acquistati» - come nel caso della caccia alle balene - a colpi di
prestiti agevolati e aiuti allo sviluppo. Tokyo sa bene che da quando il G8
si è allargato al G20, il mondo è di fatto gestito da un G2: il «direttorio»
Usa/Cina. E invece di prenderne atto e lavorare per la pace e la
«ricostruzione», si agita pericolosamente, protestando, minacciando,
urlando, piazzando i missili Patriot e minacciando di abbattere qualsiasi
oggetto volante che sorvoli il sacro arcipelago. Dando così ragione alla
Corea del nord, che vorrebbe l'esclusione del Giappone dal negoziato a sei,
proprio per il suo atteggiamento poco costruttivo.
E dispettoso. Ieri, ad esempio, il governo giapponese ha cancellato
all'ultimo momento la conferenza stampa di Hugo Chavez, che per attirare un
po' d' attenzione sulla sua visita, caduta in un pessimo momento, ha pensato
bene di lanciare una delle sue solite provocazioni: «Non capisco tutto
questo trambusto: se, come sembra, si tratta di un vettore che trasportava
un satellite artificiale, non c'è alcuna violazione delle norme
internazionali. Tutti i paesi hanno diritto a sviluppare un programma
spaziale. Anche i nord-coreani. Anche noi».
A stracciarsi le vesti, per il lancio nord-coreano, un gesto sicuramente
provocatorio ma, salvo prova contraria, giuridicamente ineccepibile (e su
questo sono d'accordo tutti, tranne il Giappone), alla fine sono solo i
giapponesi. Gli stessi che, anziché approfittare della loro immeritata
costituzione - uno dei pochi doni sensati degli Stati uniti -, da un po' di
tempo hanno riscoperto la voglia di menar le mani.
Hanno cominciato con l'Iraq, poi con l'Afghanistan (anche se ufficialmente
si occupano solo di rifornire le navi della Santa alleanza) e ora sono
appena partiti contro i pirati della Somalia. Prove tecniche di aggressione.
Perché l'obiettivo non può che essere lo stesso perseguito, a prezzo di
enormi sacrifici, a suo tempo: dare una lezione alla Cina, passando dalla
Corea.
Curioso che il Giappone voglia punire, ferire, uccidere i suoi genitori,
anziche educare i propri figli.
Perché checchè raccontino le «cronache divine», le leggende che i poveri
giapponesi continuano a dover studiare come storia nelle loro
scuole-caserme, dove debbono sorbirsi l'alzabandiera e l'inno nazionale,
tutto quello di cui il Giappone si vanta, dalla scrittura alle arti
marziali, dal pensiero filosofico a quello religioso proviene dalla Cina, ed
è arrivato nell'arcipelago grazie alla generosità, curiosità e coraggio dei
coreani. Ma invece di essere grato ai vicini, l'Impero li ha sempre trattati
con sussiego, se non disprezzo. E se ai militari che occupavano la Cina
veniva concesso di passare il tempo a stuprare le donne, infilzare i bambini
e mozzare le teste dei prigionieri, in Corea i giapponesi avevano
addirittura imposto la loro lingua, umiliando la cultura che aveva loro
insegnato a scrivere.
Il governo giapponese continua a chiedere la solidarietà del mondo per la
questione dei suo cittadini rapiti e sequestrati negli anni '70. Una vicenda
drammatica per le famiglie che l'hanno vissuta in prima persona, ma che non
può essere paragonata alle migliaia di donne stuprate e deportate, ai
prigionieri di guerra ridotti in schiavitù, all'umiliazione che ancora oggi
centinaia di migliaia di cittadini coreani residenti in Giappone sono
costretti a subire, finendo per cambiare nome per nascondere le loro
origini.
I dirigenti giapponesi, gli stessi che hanno supinamente sopportato sino ad
oggi una sovranità limitata, rinunciando ad una politica estera autonoma,
sono probabilmente i primi ad essersi accorti di aver perso ogni speranza di
ritagliarsi un ruolo internazionale che vada aldilà dei voti di volta in
volta «acquistati» - come nel caso della caccia alle balene - a colpi di
prestiti agevolati e aiuti allo sviluppo. Tokyo sa bene che da quando il G8
si è allargato al G20, il mondo è di fatto gestito da un G2: il «direttorio»
Usa/Cina. E invece di prenderne atto e lavorare per la pace e la
«ricostruzione», si agita pericolosamente, protestando, minacciando,
urlando, piazzando i missili Patriot e minacciando di abbattere qualsiasi
oggetto volante che sorvoli il sacro arcipelago. Dando così ragione alla
Corea del nord, che vorrebbe l'esclusione del Giappone dal negoziato a sei,
proprio per il suo atteggiamento poco costruttivo.
E dispettoso. Ieri, ad esempio, il governo giapponese ha cancellato
all'ultimo momento la conferenza stampa di Hugo Chavez, che per attirare un
po' d' attenzione sulla sua visita, caduta in un pessimo momento, ha pensato
bene di lanciare una delle sue solite provocazioni: «Non capisco tutto
questo trambusto: se, come sembra, si tratta di un vettore che trasportava
un satellite artificiale, non c'è alcuna violazione delle norme
internazionali. Tutti i paesi hanno diritto a sviluppare un programma
spaziale. Anche i nord-coreani. Anche noi».