Giova
2008-09-01 12:56:37 UTC
Giovani ragazze giapponesi: per essere felici un marito non serve più
di MARINA VERNA
Meglio libere che maritate. Libere di lavorare, guadagnare, spendere. Libere
di uscire con le amiche anziché stare a casa con la suocera, di mangiare al
ristorante anziché cucinare, di fare carriera piuttosto che figli. «Single
parassite», le ha definite il sociologo Masahiro Yamada, drogate di lusso e
di piaceri. Ma loro, le giovani donne giapponesi, non battono ciglio. Anzi,
soddisfatte e contente, non solo insistono su questa strada, ma fanno
scuola.
Il Giappone ha la più alta percentuale di single al mondo: più della metà
delle trentenni non ha ancora marito. Perché il matrimonio è quasi sempre la
tappa finale della loro vita. E se hai studiato e viaggiato, se hai visto
come va il mondo altrove, non non lo vuoi più.
Secondo un sondaggio pubblicato ieri dal quotidano «Yomiuri Shimbun», il 55
per cento delle ragazze non vede la necessità di sposarsi per avere una vita
appagata. E solo il 39 per cento pensa che senza marito la vita è infelice.
Due su tre rifiutano il modello tradizionale dell'uomo al lavoro con la
donna a casa. Non che rifiutino il matrimonio in sé: il 65 per cento ha
detto che, potendo scegliere, preferirebbe sposarsi. Ma dev'essere con l'uomo
giusto, che le accetti emancipate. Dev'essere in una convivenza non solo
pacifica - massimo ideale delle generazioni precedenti - ma anche appagante.
Quello che rifiutano è il matrimonio tradizionale, quello dell'obbligo
sociale più che della scelta individuale. Quello della frustrazione
sentimentale e della rinuncia professionale. Quello che non è legato a un
ideale di vita romantica da trascorrere insieme ma è una sistemazione con
uno sconosciuto scelto dalla famiglia. Quello dove il marito lavora dieci
ore e ne passa ancora due a bere al bar con gli amici, e per la famiglia ha
solo qualche ora al weekend. Quello dove la donna, come da manuale
sindacale, dà le dimissioni dal suo posto di lavoro un mese prima della
cerimonia e davanti a ogni contrarietà si limita a dire «pazienza». Quello
dove i suoceri sono da accudire prima e più dei propri figli.
Ecco, se questo è il matrimonio, allora meglio godersi la vita. Parassiti
finché si può stare con i genitori e spendere, divertirsi, essere servite.
Autonome anche dopo, con le amiche per uscire e ridere. «Guarda che poi
invecchi e ti penti», ripetono le mamme ansiose di accasarle. Ma le figlie,
che hanno intuito i loro dispiaceri quotidiani anche se ben nascosti, non le
ascoltano. Preferiscono essere infelici a modo loro.
Trent'anni fa un'analoga ricerca sul gradimento del matrimonio individuava
già una tendenza, ma molto più ristretta. Solo una giovane donna su cinque
andava controcorrente, nel pensiero se non sempre nell'azione, e non puntava
alle nozze «come via alla realizzazione personale». La pressione di un
sistema sociale che si regge sull'abnegazione familiare era tale che
difficilmente una giovane aveva la forza - e i mezzi economici - per
sfuggire al canone ufficiale della rispettabilità.
Poi però le ragazze hanno cominciato ad avere delle alternative, anche
perché l'industria giapponese aveva bisogno di loro e le impiegava. Uscite
di casa, è difficile farle rientrare. Ed è difficile, per i giovani uomini,
offrire una vita che sia all'altezza di ambizioni e di esigenze che le donne
sanno benissimo soddisfare da sole.
fonte: www.lastampa.it
di MARINA VERNA
Meglio libere che maritate. Libere di lavorare, guadagnare, spendere. Libere
di uscire con le amiche anziché stare a casa con la suocera, di mangiare al
ristorante anziché cucinare, di fare carriera piuttosto che figli. «Single
parassite», le ha definite il sociologo Masahiro Yamada, drogate di lusso e
di piaceri. Ma loro, le giovani donne giapponesi, non battono ciglio. Anzi,
soddisfatte e contente, non solo insistono su questa strada, ma fanno
scuola.
Il Giappone ha la più alta percentuale di single al mondo: più della metà
delle trentenni non ha ancora marito. Perché il matrimonio è quasi sempre la
tappa finale della loro vita. E se hai studiato e viaggiato, se hai visto
come va il mondo altrove, non non lo vuoi più.
Secondo un sondaggio pubblicato ieri dal quotidano «Yomiuri Shimbun», il 55
per cento delle ragazze non vede la necessità di sposarsi per avere una vita
appagata. E solo il 39 per cento pensa che senza marito la vita è infelice.
Due su tre rifiutano il modello tradizionale dell'uomo al lavoro con la
donna a casa. Non che rifiutino il matrimonio in sé: il 65 per cento ha
detto che, potendo scegliere, preferirebbe sposarsi. Ma dev'essere con l'uomo
giusto, che le accetti emancipate. Dev'essere in una convivenza non solo
pacifica - massimo ideale delle generazioni precedenti - ma anche appagante.
Quello che rifiutano è il matrimonio tradizionale, quello dell'obbligo
sociale più che della scelta individuale. Quello della frustrazione
sentimentale e della rinuncia professionale. Quello che non è legato a un
ideale di vita romantica da trascorrere insieme ma è una sistemazione con
uno sconosciuto scelto dalla famiglia. Quello dove il marito lavora dieci
ore e ne passa ancora due a bere al bar con gli amici, e per la famiglia ha
solo qualche ora al weekend. Quello dove la donna, come da manuale
sindacale, dà le dimissioni dal suo posto di lavoro un mese prima della
cerimonia e davanti a ogni contrarietà si limita a dire «pazienza». Quello
dove i suoceri sono da accudire prima e più dei propri figli.
Ecco, se questo è il matrimonio, allora meglio godersi la vita. Parassiti
finché si può stare con i genitori e spendere, divertirsi, essere servite.
Autonome anche dopo, con le amiche per uscire e ridere. «Guarda che poi
invecchi e ti penti», ripetono le mamme ansiose di accasarle. Ma le figlie,
che hanno intuito i loro dispiaceri quotidiani anche se ben nascosti, non le
ascoltano. Preferiscono essere infelici a modo loro.
Trent'anni fa un'analoga ricerca sul gradimento del matrimonio individuava
già una tendenza, ma molto più ristretta. Solo una giovane donna su cinque
andava controcorrente, nel pensiero se non sempre nell'azione, e non puntava
alle nozze «come via alla realizzazione personale». La pressione di un
sistema sociale che si regge sull'abnegazione familiare era tale che
difficilmente una giovane aveva la forza - e i mezzi economici - per
sfuggire al canone ufficiale della rispettabilità.
Poi però le ragazze hanno cominciato ad avere delle alternative, anche
perché l'industria giapponese aveva bisogno di loro e le impiegava. Uscite
di casa, è difficile farle rientrare. Ed è difficile, per i giovani uomini,
offrire una vita che sia all'altezza di ambizioni e di esigenze che le donne
sanno benissimo soddisfare da sole.
fonte: www.lastampa.it