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Intervista ai kamikaze sopravvissuti
(troppo vecchio per rispondere)
DPR
2008-01-10 06:36:44 UTC
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«Le ali del desiderio», doc di Risa Morimoto, nippo-americana, smitizza il
«vento divino». Non sublime samurai dell'aria ma ragazzo ipnotizzato dalla
patria
su IL MANIFESTO

L'atteggiamento più diffuso è il silenzio. Quando il tema viene toccato si
cerca di distogliere lo sguardo, per rispetto o per dimenticare il dolore o
per disinteresse, soprattutto fra i giovani. Stiamo parlando del Giappone
1939-45, dell'aggressione imperialistica che si estese in tutta l'Asia, e
della conseguente seconda guerra mondiale, con eventi ancora attuali che
continuano a intrecciarsi alla vicende politiche del paese.

La figura del kamikaze (vento divino) si impone proprio in quel periodo e
continua ancora oggi a essere molto viva nell'immaginario nipponico e forse
ancor di più in quello occidentale. Ma chi erano veramente questi piloti?
Samurai dell'aria incuranti del pericolo e della morte? Patrioti fanatici,
disposti a suicidarsi per l'Imperatore?

Il bel documentario Tokko (Le ali della disfatta) di Risa Morimoto, regista
statunitense di origini giapponesi che viene dalla produzione televisiva,
cerca di dare una risposta e questi interrogativi intervistando alcuni
kamikaze sopravvissuti alle loro missioni di morte.

Proiettato nei mesi scorsi in molti cinema d'essai di tutto il Giappone, il
documentario comincia con la regista che si reca in Giappone dopo aver
scoperto che un suo zio era kamikaze. Intervistando alcuni parenti decide di
andare oltre il velo di silenzio che di norma copre le vite di questi
piloti. E già dalle prime testimonianze di alcune delle sue zie lo
stereotipo comincia a vacillare. Non erano tutti degli individui coraggiosi
o con il culto della morte. Al contrario erano dei ragazzi giovani, talvolta
giovanissimi (tra i 16 e i 22 anni) addestrati e indottrinati fin dalle
scuole medie al culto dell'Imperatore e della patria.

Risa Morimoto decide di intervistare allora quattro ex-kamikaze
sopravvissuti. «Amo il Giappone, ma quanto all'imperatore.....beh lasciamo
stare...». «Noi volevamo vivere. Non volevamo affatto morire, ma allora non
ci era concesso dire cose di questo genere». Ecco alcune delle parole più
forti che alcuni degli intervistati pronunciano non senza amarezza. Si
scopre così un'imagine del Giappone imperiale dove l'indottrinamento
impartito dalle scuole continuava poi nel lavaggio dei cervelli via
mass-media. La radio, i giornali e le parate facevano apparire meravigliosi
i soldati agli occhi di ragazzini invogliati così ad arruolarsi.

Molto spesso, inoltre, le notizie dal fronte erano ben diverse dalla realtà
dei fatti (furono affondate 34 navi dai 4000 piloti suicidi). I kamikaze non
salvavano un bel niente, non cambiavano certo le sorti della battaglia. Alla
fine schiantarsi contro le navi americane diventava solamente una
possibilità di morire in modo onorevole. L'intreccio di interviste,
materiali fotografici e filmati d'epoca mostrano chiaramente come la
vittoria è già impossibile fin dall'inizio. Contro il gigante americano che
dispone di materie prime quasi infinite, l'esercito giapponese, a un certo
punto, per carenza di materiali, inizia a fabbricare bombe col bambù,
mescolando benzina con resina di pino, continuando a mandare al macello
migliaia di giovani in aerei quasi inutilizzabili.

Addirittura, alla fine della guerra, tutta la popolazione viene invitata a
diventare kamikaze. «Le donne, fabbricando lance di bambù, avrebbero dovuto
respingere il nemico! - così racconta una donna con gli occhi lucidi,
ridendo amaramente della propria follia giovanile. Questo è forse uno dei
punti più interessanti del film: i protagonisti del documentario, ricordando
e raccontando episodi di 60 anni fa, sembra che parlino di fatti accaduti a
altri, in un periodo in cui tutti erano come in uno stato di trance.
Ipnotizzati, obbedivano e basta.

Questo fortissimo contrasto è sommato al quotidiano rapporto con la morte
(tutti sapevano che avrebbero dovuto prima o poi morire). Morte che non era
una scelta ma neanche era ordinata con la forza: era vissuta come abitudine.
Si deve fare, bisogna, tutti lo fanno, si drammatizza, soprattutto nelle
fotografie d'epoca, in cui ci vengono mostrati i piloti prima della
partenze. Come dice un intervistato indicando una fotografia «questo sono
io, si può vedere l'ombra della morte sul mio viso».

Straziante è l'episodio raccontato da una signora in cui una donna, quando
viene a sapere che il marito andrà in missione kamikaze, decide di buttarsi
nel fiume con i suoi due piccoli figli. Il marito, avvertito della tragedia,
scrive una lettera immaginaria ai figli: «vi raggiungerò subito». La morte,
e soprattutto l'attesa della morte, sembrava permeare tutto con una
necessità fortissima.

La parte finale del documentario, che usa immagini d'animazione - è un
blocco che forse stona un pò con il resto del film, racconta un episodio
avvenuto durante le fasi finali della guerra. Un aereo in missione kamikaze
dopo esser andato in prima linea, causa un guasto al motore, è costretto a
ritornare e a fare un atterraggio di fortuna su un' isola nella parte
meridionale dell'arcipelago nipponico. I due piloti scossi dall'incidente si
risvegliano dal torpore di morte in cui erano avviluppati e, sebbene senza
cibo e feriti, cominciano a rigustare la vita, pensano ai progetti da fare,
alla vita che li aspetta.

Tutti questi sopravvissuti, che non sono molti, alla fine della guerra, in
un Giappone distrutto e squassato, sono quasi spaventati dalla vita e dalla
libertà che non si sarebbero mai aspettati e sempre, anche oggi dopo 60
anni, si sentono sinceramente in colpa verso i compagni che sono morti.

Imagine complessa quella dei kamikaze descritta dal documentario della
Morimoto, che con il suo film, senza arrivare a conclusioni o a definizioni
di comodo, getta una luce forse nuova o almeno obliqua su un periodo che
ancora oggi, proprio perché ritenuto finito e passato, continua con le sue
grida silenziose a lambire il presente.
akuma_tetsu
2008-01-17 20:26:12 UTC
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"DPR" <***@togliancoratiscali.it> ha scritto nel messaggio news:X1jhj.43342$***@tornado.fastwebnet.it...

[cut]
Post by DPR
La figura del kamikaze (vento divino) si impone proprio in quel periodo e
continua ancora oggi a essere molto viva nell'immaginario nipponico e
forse ancor di più in quello occidentale. Ma chi erano veramente questi
piloti? Samurai dell'aria incuranti del pericolo e della morte?
Non capisco perche' qui si sia voluto tradurre kamikaze (etimologicamente
tra le altre cose) ma non samurai...
Post by DPR
Il bel documentario Tokko (Le ali della disfatta) di Risa Morimoto,
regista statunitense di origini giapponesi che viene dalla produzione
televisiva, cerca di dare una risposta e questi interrogativi
intervistando alcuni kamikaze sopravvissuti alle loro missioni di morte.
Secondo me sarebbero da considerare "piloti suicidi" (kamikaze) solo quelli
che effettivamente hanno perso la vita in missioni suicide altrimenti si
parla solo di "piloti".
Ovviamente ora e' possibile avere a disposizione solo questo punto di vista
quindi parlare di "tutti" mi sembra quanto meno parziale se non ingiusto.
Post by DPR
Molto spesso, inoltre, le notizie dal fronte erano ben diverse dalla
realtà dei fatti (furono affondate 34 navi dai 4000 piloti suicidi). I
kamikaze non salvavano un bel niente, non cambiavano certo le sorti della
battaglia.
Io ho altri dati a seconda che si tenga in considerazione la stima
giapponese o americana.
Per quella giapponese si riportano 2000 piloti e 1228 velivoli nipponici
impiegati in missioni speciali (dal 20 ottobre 1944) per danneggiare o
affondare 276 navi americane (tra le altre: 6 portaerei pesanti, 1 portaerei
di scorta, 10 navi da battaglia, 1 incrociatore pesante).
Le fonti americane riportano 332 unita' colpite da piu' di 2000 velivoli
(valore approssimativo).
Ad ogni modo tutt'altro che 34 navi affondate per 4000 piloti suicidi...

A parte questo, e' documentato ampiamente che le tattiche suicide non
furono unica prerogativa dei giapponesi. Gia' dal 1941 l'Italia, ad esempio,
impiegava siluri pilotati (nei quali pero' i piloti avevano la possibilita'
di evacuare il siluro in tempo utile per porsi in salvo...) con i quali
danneggio le due corazzate britanniche Valiant e Queen Elisabeth.
Sulla stessa linea il "93"*, siluro giapponese con il quale saranno eseguite
diverse operazioni suicide denominate kaiten (scuotitori del cielo), che
riprende un idea sviluppata da ingegneri francesi i quali indicavano, come
carburante ideale per i siluri, l'ossigeno puro ad alta pressione. (L'enorme
vantaggio rispetto all'impiego di altri propellenti piu' comuni consisteva
nell'eliminare la scia tipica dei siluri che consentiva una facile
intercettazione)...
Anche nel caso italiano i piloti di queste armi "estreme" erano volontari.

E' del tutto plausibile, in ragione dei danni causati da tutti i tipi di
mezzi suicida impiegati, che se l'impiego questo tipo d'armi estreme fosse
stato precedente il 1945 (le missioni iniziarono a fine 1944) le sorti
della guerra sarebbero state differenti.
Post by DPR
Alla fine schiantarsi contro le navi americane diventava solamente una
possibilità di morire in modo onorevole. L'intreccio di interviste,
materiali fotografici e filmati d'epoca mostrano chiaramente come la
vittoria è già impossibile fin dall'inizio.
Qui forse si e' fin troppo ottimisti considerando anche che gli americani
sono riusciti ad evitare una necessaria invasione delle isole principali
giapponesi. Tuttavia l'antefatto (a partire da Iwo Jima) non era certo dei
piu' confortanti per un eventuale attacco terrestre come del resto si
vedra' successivamente in Vietnam in cui non contava minimamente la
strapotenza tecnologica americana se paragonata alla tenacia vietnamita...
Post by DPR
Contro il gigante americano che dispone di materie prime quasi infinite,
l'esercito giapponese, a un certo punto, per carenza di materiali, inizia
a fabbricare bombe col bambù, mescolando benzina con resina di pino,
continuando a mandare al macello migliaia di giovani in aerei quasi
inutilizzabili.
Ho forti dubbi sul discorso "materie prime quasi infinite": non solo, verso
la fine della guerra scarseggiavano i soldi americani per proseguire il
conflitto ma anche gli uomini da mandare al fronte!
Questa idea e' talmente diffusa e comprovata, oramai, (al di la dei
film di propaganda americana post-guerra...) che e' stata anche alla base di
recente film nel quale un gruppo di soldati americani ha il compito di
"racimolare" i soldi necessari per far fronte alle spese di guerra sempre
piu' alte tramite un massiccio tour di promozione (o propaganda)
reclamizzando lo stereotipo della prossima comune vittoria.

Anche questo articolo del Manifesto non mi ha convinto poi molto...



* Il nome "93" fu scelto dall'ammiraglio di divisione Toshihide Asaguma e il
contrammiraglio Kaneji Kishimoto, che misero a punto il funzionamento delle
armi, in occasione dell'anniversario della fondazione dell'impero
giapponese. Erano infatti trascorsi 2993 anni.
--
"The fight is all we have."
akuma_tetsu
mrzac
2008-01-18 21:33:08 UTC
Permalink
Post by akuma_tetsu
A parte questo, e' documentato ampiamente che le tattiche suicide non
furono unica prerogativa dei giapponesi. Gia' dal 1941 l'Italia, ad esempio,
impiegava siluri pilotati (nei quali pero' i piloti avevano la possibilita'
di evacuare il siluro in tempo utile per porsi in salvo...) con i quali
danneggio le due corazzate britanniche Valiant e Queen Elisabeth.
Se parli dei "maiali" non mi risulta che i soldati che li manovravano si
potessero considerare dei suicidi... mi risulta che fossero soldati iper
specializzati, i pronipoti di quelli che ora prestano servizio presso
quel corpo di uomini d'acciaio italiano che non ricordo come si chiama
(tipo Cominsub o qualcosa di simile): praticamente credo possano essere
considerati i Navy Seals italiani.
Post by akuma_tetsu
Anche nel caso italiano i piloti di queste armi "estreme" erano volontari.
Ma non era previsto che morissero per portare a termine la loro missione
stando ai documentari RAI che ho visto.
--
(Freedom for Burma)
akuma_tetsu
2008-01-19 13:42:50 UTC
Permalink
Post by mrzac
Se parli dei "maiali" non mi risulta che i soldati che li manovravano si
potessero considerare dei suicidi... mi risulta che fossero soldati iper
specializzati, i pronipoti di quelli che ora prestano servizio presso quel
corpo di uomini d'acciaio italiano che non ricordo come si chiama (tipo
Cominsub o qualcosa di simile): praticamente credo possano essere
considerati i Navy Seals italiani.
I Siluro a Lenta Corsa S.L.C. (o maiale), della X° MAS, alla fin fine era
solo un siluro modificati per alloggiare fino a due piloti con
un'autonomia di 10 miglia (18,51km) e una velocita' massima
di 3 nodi (5,5km/h) il che non lasciava troppo spazio al caso.
I S.L.C. furono ideati prima ed in modo differente rispetto i corrispettivi
giapponesi, quindi senza ossigeno liquido quale propellente (che comportava
l'individuazione del siluro in fase di avvicinamento), anche le prestazioni
dei kaiten erano decisamente superiori con un'autonomia di 78km a 10 nodi
(18,51km/h) di velocita'.

Benche' gli italiani impiegassero un siluro (diverso dagli aerei giapponesi
che potevano rientrare alla base nel caso di imprevisti e con autonomia
decisamente ridotta rispetto i siluri giapponesi...) con lo scopo funzionale
di
arrivare in prossimita' del vascello nemico, collocare delle cariche, i
membri erano due anche per questo motivo, ed infine allontanarsi. Cio'
nonostante lo stesso ideatore, il Maggiore del Genio Navale Teseo Tesei,
in occasione di una missione alla quale prese parte scelse di proseguire
con il suo compito perdendo in tal modo la vita pur di portare a termine
la missione.

Viste le condizioni non mi sembrerebbe affatto strano che per i piloti
italiani si prospettassero poche alternative una volta giunti in prossimita'
dei vascelli nemici. Cio' nonostante, lo stesso sviluppo dei mezzi non fu
ideato per missioni suicide: il pilota aveva sempre la possibilita' di
abbandonare la guida per cercare di allontanarsi.
--
"The fight is all we have."
akuma_tetsu
mrzac
2008-01-19 14:58:10 UTC
Permalink
Post by akuma_tetsu
Viste le condizioni non mi sembrerebbe affatto strano che per i piloti
italiani si prospettassero poche alternative una volta giunti in prossimita'
Qualunque missione di guerra rischiosa ha questa estrema possibilità.
Nei documentari che ho visto mostravano diverse missioni in cui non ci
furono morti fra gli italiani.
Post by akuma_tetsu
Cio' nonostante, lo stesso sviluppo dei mezzi non fu
ideato per missioni suicide: il pilota aveva sempre la possibilita' di
abbandonare la guida per cercare di allontanarsi.
OK, volevo che questo fosse chiaro... :)
--
(Freedom for Burma)
akuma_tetsu
2008-01-19 17:19:25 UTC
Permalink
Post by mrzac
Qualunque missione di guerra rischiosa ha questa estrema possibilità.
Direi meglio: qualsiasi missione in guerra contempla questa possibilita'.
Certo, muoversi su di un siluro in prossimita' di un porto nemico alla
velocita' di 5 km/h (tra le altre cose i S.L.C. non erano muniti di
periscopio diversamente dai modelli giapponesi...) direi che aumenta
le possibilita' di essere uccisi per mano del nemico, per aver calcolato
avventatamente le distanze o anche per scelta (come accadde).
Post by mrzac
OK, volevo che questo fosse chiaro... :)
Lo avevo scritto chiaramente fin dal primo messaggio.
--
"The fight is all we have."
akuma_tetsu
Mac
2008-02-03 00:37:15 UTC
Permalink
onore e rispetto!
Stefano Gaburri
2008-12-01 19:41:10 UTC
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Post by DPR
«Le ali del desiderio», doc di Risa Morimoto, nippo-americana, smitizza
il «vento divino». Non sublime samurai dell'aria ma ragazzo ipnotizzato
dalla patria
Interessante (anche se davvero non capisco come "wings of defeat" abbia
potuto diventare "ali del desiderio"... mah?)

In ogni caso mi pare di capire che ci sia un'edizione italiana, ne
sapete di più? Perché ho visto che si può ordinare online la ver. originale
http://www.edgewoodpictures.com/wingsofdefeat/dvd_purchase.html

però la spedizione costa 25 dollari e come minimo all'arrivo ci devi
pagare iva e dazio (agh)

ciao, grazie
S
Stefano Gaburri
2008-12-01 20:11:53 UTC
Permalink
Post by Stefano Gaburri
Post by DPR
«Le ali del desiderio», doc di Risa Morimoto, nippo-americana,
smitizza il «vento divino». Non sublime samurai dell'aria ma ragazzo
ipnotizzato dalla patria
Interessante (anche se davvero non capisco come "wings of defeat" abbia
potuto diventare "ali del desiderio"... mah?)
oops, il thread era vecchio d'un anno, scusate - per errore avevo
invertito l'ordine cronologico in thunderbird... ehm :)

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