ROB (Senza Numero)
2008-06-21 04:59:04 UTC
La rivolta DI KAMAGASAKI
«Frittata indigesta», lavoratore a giornata non paga il conto. Arrestato,
pestato in cella, è rilasciato dopo 20 giorni. C'è il G8 in corso. I suoi
compagni protestano: ne vien fuori una «Genova nipponica»
Sono le 5 di pomeriggio. Kamagasaki, una delle discariche sociali del
Giappone. C'è n'è una in ogni grande città del Sol Levante: li chiamano
«quartieri fisarmonica», perché la loro popolazione aumenta e diminuisce a
seconda di quanto tira l'economia. Per capire come vanno le cose vale la
pena venire qui, piuttosto che decifrare l'indice della borsa o i comunicati
del g8 finanziario. Qui la rivolta è scoppiata, proprio dietro la porta del
G8.
La miccia è stata innescata un paio di giorni fa. Un poveraccio decide di
regalarsi una cena decente. Non gli importa se gli parte la paga di una
settimana. Ma vuole godersi una serata. Con la sua compagna entra in un
ristorante. Niente di che, ma non le solite bettole che è costretto a
frequentare. Ordina un okonomiyaki, la frittata tipica di Osaka. Ma non è
buona. I due non la mangiano nemmeno tutta, e dopo aver protestato, decidono
di non pagare il conto.
I soldi ce li hanno, ma non vogliono pagare. In altre circostanze e luoghi,
il tutto si risolve con «ma prego dottore, lasci perdere», o in un
compromesso. Paghi il resto, birra e sakè, la frittata la offro io. Ma siamo
a Kamagasaki, e il codice è diverso. Il gestore chiama la polizia. Che senza
tanti complimenti manda a casa la compagna e invita il tipo in
commissariato, «per accertamenti».
L'uomo sa che cosa vuol dire «seguire volontariamente» la polizia, in
Giappone, paese dove il fermo di polizia può durare fino a 23 giorni,
rinnovabili, senza bisogno di convalida da patte di un giudice e con diritti
della difesa decisamente limitati. Per i poveracci, gli emarginati, i vecchi
e nuovi poveri, la situazione è ancora più drammatica: non possono contare
nemmeno sulla difesa tecnica.
Lo stato ti paga un avvocato d'ufficio - che in genere si rimette alla
«clemenza» della corte - ma solo dopo il rinvio a giudizio.
Quando il poveraccio viene rilasciato, dopo una ventina di giorni, è pesto e
stralunato. I suoi amici sono indignati e improvvisano una manifestazione
davanti al commissariato. La polizia reagisce male: fa una retata e arresta
8 persone. La voce si sparge, e gli emarginati lanciano il passaparola. Il
G8 non c'entra, ma c'entra.
Fatto sta che nel giro di qualche ora, il commissariato di Nishinari è
circondato e assediato da centinaia di persone. Non succedeva da anni.
L'ultima rivolta, con scontri e feriti, risale agli '90, quando scoppiò la
famosa «bolla» edilizia.
Per un po' si va avanti a insulti, lancio di oggetti (prima lattine, poi
sassi e perfino biciclette), ma appena si fa buio la situazione precipita.
La polizia lancia un ultimatum: disperdetevi o carichiamo. I manifestanti
non hanno nessuna voglia di andarsene. È venerdì sera, l'alcol gira che è un
piacere, e i loro compagni sono ancora dentro. E la polizia carica.
Impressionante. I poliziotti avanzano piano, a testuggine, travolgendo tutto
ciò che gli si para davanti. Dietro spunta un idrante, ma è estate, fa
caldo. I getti non fanno male, rinfrescano. Via ai lacrimogeni.
Nel giro di pochi minuti, l'impero del «wa», dell'armonia e dell'inchino
sparisce. Non siamo più in Giappone, siamo a Seoul. O Genova. Siamo globali,
nel bene e nel male. Stessa disperazione, stessa reazione. La polizia
carica, picchia con astuzia e cattiveria, per far male. E non fa troppi
complimenti. A prendersi le sprangate sono donne, vecchietti. Senza
distinzione. Senza pietà. Acchiappa i manifestanti a casaccio, li stende per
terra e li trascina in caserma. Ne abbiamo contati almeno una ventina, e non
usciranno facilmente. Ci guardiamo intorno, non c'è l'ombra della stampa, né
della televisione locale. Eppure sono ore che c'è alta tensione, e che gli
scontri erano nell'aria.
Un signore, la faccia ricoperta di sangue, ci guarda, più stupito che
preoccupato. «Guardate, guardate e scrivete. Ecco come trattano i poveracci,
in questo paese». Ha 65 anni, nella vita ha fatto di tutto, che in Giappone
significa non aver fatto nulla. Infatti non ha più famiglia, né una casa.
Vive in un roya , i fatiscenti dormitori di Kamagasaki, 6 euro per un futon,
il materasso locale, in una grande stanza con decine di altre persone.
«C'è stato un periodo che ce la passavamo bene: c'era molto lavoro e ti
pagavano bene. Adesso è cambiato tutto. Non c'è più lavoro e ti pagano
male». Da Kamagasaki sono spariti perfino i tekiya i «caporali» della
yakuza. La paga degli hiatoi, i «giornalieri» è talmente bassa che il
business non conviene più. Non ci sono i «margini», come ci spiega un uomo
che ha tutta l'aria di appartenere ad una delle cosche. È gentile, ci offre
di scortarci per proteggerci nella nostra meritevole opera di
«informazione». «Con me puoi stare tranquillo. Non ti tocca nessuno. Né
questi poveracci, né la polizia. Tranquillo». Come tutti i giapponesi, siano
essi ministri, impiegati o delinquenti, ha un biglietto da visita.
Apre la borsa, per cercarne uno. Facciamo a tempo a sbirciarci dentro. È
piena di soldi. Saranno almeno una decina di mazzette, con tanto di
fascetta. Qualche milione di yen. Decine di migliaia di euro. Da dove
vengano, e dove vadano, non è dato sapere. La rivolta è finita. Fuori
restano i segni della battaglia. L'odore acro dei lacrimogeni, vetri e
lattine, bidoni dell'immondizia rovesciati. Erano anni che in Giappone non
vedevamo scene del genere. Yamamoto, c'è scritto così sul bigliettino, ha
una parola buona per tutti. Dice di essere proprietario di vari immobili, in
questo quartiere. Ma lui vive da un'altra parte della città, quella dove si
è svolto il vertice G8. Dopo essersi assicurato che ce la possiamo cavare da
soli, saluta con un inchino e si infila, con la sua preziosa valigetta, in
una macchina bianca che lo sta aspettando, da ore, con il motore acceso.
di Pio D'Emilia su IL MANIFESTO
«Frittata indigesta», lavoratore a giornata non paga il conto. Arrestato,
pestato in cella, è rilasciato dopo 20 giorni. C'è il G8 in corso. I suoi
compagni protestano: ne vien fuori una «Genova nipponica»
Sono le 5 di pomeriggio. Kamagasaki, una delle discariche sociali del
Giappone. C'è n'è una in ogni grande città del Sol Levante: li chiamano
«quartieri fisarmonica», perché la loro popolazione aumenta e diminuisce a
seconda di quanto tira l'economia. Per capire come vanno le cose vale la
pena venire qui, piuttosto che decifrare l'indice della borsa o i comunicati
del g8 finanziario. Qui la rivolta è scoppiata, proprio dietro la porta del
G8.
La miccia è stata innescata un paio di giorni fa. Un poveraccio decide di
regalarsi una cena decente. Non gli importa se gli parte la paga di una
settimana. Ma vuole godersi una serata. Con la sua compagna entra in un
ristorante. Niente di che, ma non le solite bettole che è costretto a
frequentare. Ordina un okonomiyaki, la frittata tipica di Osaka. Ma non è
buona. I due non la mangiano nemmeno tutta, e dopo aver protestato, decidono
di non pagare il conto.
I soldi ce li hanno, ma non vogliono pagare. In altre circostanze e luoghi,
il tutto si risolve con «ma prego dottore, lasci perdere», o in un
compromesso. Paghi il resto, birra e sakè, la frittata la offro io. Ma siamo
a Kamagasaki, e il codice è diverso. Il gestore chiama la polizia. Che senza
tanti complimenti manda a casa la compagna e invita il tipo in
commissariato, «per accertamenti».
L'uomo sa che cosa vuol dire «seguire volontariamente» la polizia, in
Giappone, paese dove il fermo di polizia può durare fino a 23 giorni,
rinnovabili, senza bisogno di convalida da patte di un giudice e con diritti
della difesa decisamente limitati. Per i poveracci, gli emarginati, i vecchi
e nuovi poveri, la situazione è ancora più drammatica: non possono contare
nemmeno sulla difesa tecnica.
Lo stato ti paga un avvocato d'ufficio - che in genere si rimette alla
«clemenza» della corte - ma solo dopo il rinvio a giudizio.
Quando il poveraccio viene rilasciato, dopo una ventina di giorni, è pesto e
stralunato. I suoi amici sono indignati e improvvisano una manifestazione
davanti al commissariato. La polizia reagisce male: fa una retata e arresta
8 persone. La voce si sparge, e gli emarginati lanciano il passaparola. Il
G8 non c'entra, ma c'entra.
Fatto sta che nel giro di qualche ora, il commissariato di Nishinari è
circondato e assediato da centinaia di persone. Non succedeva da anni.
L'ultima rivolta, con scontri e feriti, risale agli '90, quando scoppiò la
famosa «bolla» edilizia.
Per un po' si va avanti a insulti, lancio di oggetti (prima lattine, poi
sassi e perfino biciclette), ma appena si fa buio la situazione precipita.
La polizia lancia un ultimatum: disperdetevi o carichiamo. I manifestanti
non hanno nessuna voglia di andarsene. È venerdì sera, l'alcol gira che è un
piacere, e i loro compagni sono ancora dentro. E la polizia carica.
Impressionante. I poliziotti avanzano piano, a testuggine, travolgendo tutto
ciò che gli si para davanti. Dietro spunta un idrante, ma è estate, fa
caldo. I getti non fanno male, rinfrescano. Via ai lacrimogeni.
Nel giro di pochi minuti, l'impero del «wa», dell'armonia e dell'inchino
sparisce. Non siamo più in Giappone, siamo a Seoul. O Genova. Siamo globali,
nel bene e nel male. Stessa disperazione, stessa reazione. La polizia
carica, picchia con astuzia e cattiveria, per far male. E non fa troppi
complimenti. A prendersi le sprangate sono donne, vecchietti. Senza
distinzione. Senza pietà. Acchiappa i manifestanti a casaccio, li stende per
terra e li trascina in caserma. Ne abbiamo contati almeno una ventina, e non
usciranno facilmente. Ci guardiamo intorno, non c'è l'ombra della stampa, né
della televisione locale. Eppure sono ore che c'è alta tensione, e che gli
scontri erano nell'aria.
Un signore, la faccia ricoperta di sangue, ci guarda, più stupito che
preoccupato. «Guardate, guardate e scrivete. Ecco come trattano i poveracci,
in questo paese». Ha 65 anni, nella vita ha fatto di tutto, che in Giappone
significa non aver fatto nulla. Infatti non ha più famiglia, né una casa.
Vive in un roya , i fatiscenti dormitori di Kamagasaki, 6 euro per un futon,
il materasso locale, in una grande stanza con decine di altre persone.
«C'è stato un periodo che ce la passavamo bene: c'era molto lavoro e ti
pagavano bene. Adesso è cambiato tutto. Non c'è più lavoro e ti pagano
male». Da Kamagasaki sono spariti perfino i tekiya i «caporali» della
yakuza. La paga degli hiatoi, i «giornalieri» è talmente bassa che il
business non conviene più. Non ci sono i «margini», come ci spiega un uomo
che ha tutta l'aria di appartenere ad una delle cosche. È gentile, ci offre
di scortarci per proteggerci nella nostra meritevole opera di
«informazione». «Con me puoi stare tranquillo. Non ti tocca nessuno. Né
questi poveracci, né la polizia. Tranquillo». Come tutti i giapponesi, siano
essi ministri, impiegati o delinquenti, ha un biglietto da visita.
Apre la borsa, per cercarne uno. Facciamo a tempo a sbirciarci dentro. È
piena di soldi. Saranno almeno una decina di mazzette, con tanto di
fascetta. Qualche milione di yen. Decine di migliaia di euro. Da dove
vengano, e dove vadano, non è dato sapere. La rivolta è finita. Fuori
restano i segni della battaglia. L'odore acro dei lacrimogeni, vetri e
lattine, bidoni dell'immondizia rovesciati. Erano anni che in Giappone non
vedevamo scene del genere. Yamamoto, c'è scritto così sul bigliettino, ha
una parola buona per tutti. Dice di essere proprietario di vari immobili, in
questo quartiere. Ma lui vive da un'altra parte della città, quella dove si
è svolto il vertice G8. Dopo essersi assicurato che ce la possiamo cavare da
soli, saluta con un inchino e si infila, con la sua preziosa valigetta, in
una macchina bianca che lo sta aspettando, da ore, con il motore acceso.
di Pio D'Emilia su IL MANIFESTO